È dall’aprile del 2018 che tengo sulla mia scrivania l’immaginetta-calendario di Don Luciano con questa sua bellissima frase: «Come nell’anno ci sono quattro stagioni, così nella vita. Se nella primavera si sta in ozio, ci succederà un’estate triste, un autunno scarso, un inverno desolante. Se invece si fa tutto quello che si può nella primavera, l’estate sarà ricca, l’autunno abbondante, l’inverno in pace».
Ho sempre pensato che questo fosse lo specchio della sua vita, dalla giovinezza al momento in cui la pace di Dio lo ha abbracciato completamente. Ma penso anche che sia un invito, un consiglio, una luce per noi oggi a trovare nella nostra vita queste stagioni, per lasciare che la grazia del tempo operi in noi la fecondità e la pace a cui siamo chiamati. Non importa se abbiamo già passato la fase della giovinezza fisica. C’è una primavera che è sempre viva nel nostro cuore, perché lì è il seme di Dio. Ed è sempre la stagione dei frutti e della pace. Anche il tempo che stiamo vivendo, pur così avvolto dal gelo di una pandemia che sembra non finire più, e dal timore di guerre e squilibri sociali che ci provocano insicurezza e sconforto.
Cosa farebbe Don Luciano se fosse ancora fisicamente con noi? Certamente coltiverebbe quel seme di Dio nel suo cuore. Sappiamo che lo ha fatto quando, a causa della sua salute così precaria, fin da giovane ha dovuto trascorrere tanti periodi in ospedale, in sanatorio o addirittura nella sua casa, nell’immobilità, nella solitudine, nell’incertezza di poter tornare in seminario e realizzare il suo più grande desiderio: essere sacerdote di Cristo e come Lui.
Don Luciano “approfittava” di quei periodi per custodire, innaffiare e sostenere la pianta della sua vocazione, con la preghiera, lo studio, l’offerta di tutto se stesso alla Madonna. Ha accolto ogni cosa come un mezzo per farsi più simile a Gesù, “mite e umile di cuore”, e ha trovato in questa accoglienza e disponibilità il segreto per comunicare a tutti quella serenità e pace, quella dolcezza e purezza che lo hanno contraddistinto. Credo che Don Luciano sarebbe anche in mezzo al Covid una presenza di “primavera”, che ci insegna a sperare e a lavorare sodo su noi stessi, a seminare carità nelle nostre famiglie, nelle nostre parrocchie e comunità. Che ci dice sorridendo di affidarci alla Mamma del Cielo, di andare a “farci guardare da Lei” e guardare, aiutare ogni fratello e sorella attorno a noi con comprensione ed empatia. Come ha fatto lui.
Così anche per noi qualcuno potrà dire ciò che Vincenzo Cavina ha scritto di lui: «Quando sembrava che per lui non ci fossero più prospettive e le strade sembravano tutte chiuse, era proprio in quel momento che si apriva la via giusta, la via della santità» (I miei ricordi, pag. 32).
Paola Bergami