Sono stato compagno di classe dalla III ginnasiale fino all’ordinazione nel 1935. Eravamo in camerate diverse. Lo ricordo così: edificante, sorridente, ammirato da tutti. Mitezza inalterabile: mai sgarbo, lamento, rifiuto. Modestia: intelligente, dotato, non cercava il plauso. Coglieva il lato buono in tutti: scusava. Retto, mortificato (stava seduto senza appoggiarsi allo schienale). Amico fedele: “Homo sacerdos, de semine Aaron, non decipiet nos”. Si provava rimorso a rattristarlo. Talvolta alcuno, in vena di scherzare, oltrepassava il limite della moderazione; lui abbozzava un sorriso, venato di mestizia e di perdono.
Mio cugino, medico a Gallo, lo apprezzava molto. Ritrovava in lui una certa ritrosia alle prescrizioni!A me che gli domandavo: “Lo vedi mio cugino in chiesa?” (non ci andava perché i “santi” gli facevano paura) rispondeva; “Ma è buono sai, e ti vuole bene”.
Il tutto frutto di una fede profonda, di una particolare amicizia con Gesù e di tenerissima devozione alla Madonna.
Bologna, Casa del Clero
17 novembre 1993
Don Leopoldo Bonetti