Certamente per Don Luciano il ministero di confessore è stato il più importante, forse quello che ha impegnato la maggior parte del suo tempo. Egli non confessava solo nel Santuario, ma in tutte le chiese vicine, specie Poggio Grande e Castel Guelfo lo richiedevano spesso, specialmente in occasione delle feste. Molti erano i conventi di religiose che lo avevano come confessore ordinario; come tale era impegnato anche nel Seminario Regionale: il Cardinale Lercaro e vari Vescovi lo avevano scelto come loro confessore. Non è facile però parlare di questo aspetto dell’attività di Don Luciano, per la natura stessa del rapporto che si crea fra il penitente che non va di solito a raccontare ad altri quello che ha detto al prete, e il confessore, che è tenuto al più stretto ed inviolabile segreto. Quello che potrei dire dipende in parte dalla mia personale esperienza, e in parte da quello che ho sentito da chi si confessava da don Luciano. La prima impressione di chi andava da don Luciano per confessarsi era la sua accoglienza. Immediatamente disponibile, anche se tu dichiaravi di essere disposto ad aspettare, ti sorprendeva col suo dolcissimo, ineguagliabile sorriso, che non era quello di un giudice che vuole ascoltarti per pronunciare la sua sentenza, e neppure quello di chi era stato inaspettatamente sottratto ai suoi impegni, ma quello di un amico che accoglie con gioia una persona che gli è tanto cara. E non era un volto di circostanza, avvertivi subito che egli veramente ti voleva bene, e dentro di te ti chiedevi perché mai dimostrasse per te tanta amicizia che non sentivi di aver meritato. Nell’ascoltarti non mostrava nessuna meraviglia di fronte a qualsiasi peccato che tu potessi dichiarare; in certi casi, come per farti coraggio accusava anche se stesso. Quando per esempio gli dicevo che non riuscivo, quando dicevo il breviario, a tenere la mente attenta a quanto leggevo, e di aver pensato a tante altre cose estranee alla preghiera, diceva col suo sorriso: “Sai, capita anche a me”. Non so se don Luciano ci pensava, ma a me venivano in mente le parole della lettera agli Ebrei, dove si parla di Gesù Sacerdote: “Infatti non abbiamo un Sommo Sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa a somiglianza di noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia, ed essere aiutati al momento opportuno” (Ebr 4, 15-16). Le parole che don Luciano ti diceva alla fine della confessione non erano di rimprovero, ma di esortazione ad amare di più il Signore, ad essergli riconoscente per la sua misericordia, a rivolgersi sempre a Lui con fiducia. Una cosa mi sorprendeva alla fine della confessione: era il fatto che lui stesso diceva l’atto di dolore con me. Le prime volte pensavo che lo facesse solo per abitudine, per togliere dall’imbarazzo quelli che non ricordavano bene questa preghiera, ma il fatto che lo facesse sempre anche con me sacerdote rivelava che c’era un’altra intenzione, che si manifestava nel fatto che dopo aver assegnato la lieve penitenza, soggiungeva: “La diciamo insieme!” Anche in questo caso, si può pensare che lo facesse per timore che il penitente la dimenticasse, compromettendo l’integrità del sacramento, ma poi mi è parso di vedere un’intenzione più profonda: Don Luciano in confessione si sentiva, come Gesù,non solo colui che è stato consacrato come rappresentante della divina misericordia verso questa umanità peccatrice, ma anche come parte solidale di questa umanità, fino a sentire come suoi i peccati dei fratelli e a farne penitenza come fossero peccati suoi…ricordate quello che ha lasciato scritto nel suo testamento spirituale.” Pregate per me, povero peccatore”. Anche qui ha imitato il Cristo, che ha assunto in pieno la condizione umana, eccetto il peccato, ma ha voluto essere solidale con questa umanità peccatrice, fino a caricarsi dei nostri peccati, ad accettarne il castigo, fino alla morte in croce.
Anonimo